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Per l'acqua bene comune. Cinque minuti di rivoluzione

L’ultimo argine contro la privatizzazione dell’acqua sono due quesiti referendari.
I cittadini italiani sono chiamati ad abrogare, con il voto del 12 e 13 giugno, due articolo di legge che, a vario titolo, investono il servizio idrico integrato.

Il primo è l’articolo 15 della legge «Ronchi», la 166 del 2009, che prende il nome da Andrea Ronchi, l’ex ministro delle Politiche comunitarie. Una legge pomposamente definita «riforma dei servizi pubblici locali», ma che riguarda in realtà esclusivamente la modalità di affidamento della gestione dei servizi. Si tratta, in pratica, di una legge che rende [praticamente] obbligatorio il ricorso alla «gara», a partire dal gennaio del 2012.

È bene ricordare, però, che la gara non è una novità; che in Italia è possibile scegliere per questa modalità d’affidamento del servizio idrico integrato fin dalla metà degli anni Novanta; e che sono numerosi i riscontri sul fallimento di questo modello.
Un esempio, tra i tanti, lo si ritrova tra le pagine di un provvedimento dell’Antitrust, che nel 2007 ha multato le imprese Acea e Suez, prima in Italia e prima nel mondo nel settore, per un accordo di cartello che ha viziato le gare che si sono svolte in Italia, e in particolare in Toscana. Un vero e proprio accordo di non belligeranza, che avrebbe viziato il risultato dei tre quarti delle gare che si sono svolte nell’ambito del servizio idrico integrato.
Purtroppo, nemmeno una sentenza dell’Antitrust ha il potere di sciogliere affidamenti che derivano da gare palesemente falsate. Ed è questo il motivo per cui, con un referendum abrogativo, ci poniamo intanto l’obiettivo di non veder svolgere in tutto il Paese gare secondo questo «modello toscano», che prevede un unico concorrente e il risultato scontato.

Il secondo quesito referendario, invece, pone l’accento sulla tariffa del servizio idrico integrato [e va ad abrogare un articolo del testo unico dell'Ambiente, 152/2006].
Fa riferimento, in particolare, alla voce «tasso di remunerazione del capitale investito». Significa, ed è importante perché riguarda le tasche dei cittadini, che in base alla dottrina tariffaria basata sul full recovery cost, fin dalla legge Galli [16/94], pagano di tasca propria [non con le tasse, ma in bolletta] non solo il costo del servizio ma anche gli investimenti sulla rete [una «tassa occulta»] e un tasso di remunerazione del capitale investito [ovvero anche gli interessi sui mutui accesi per realizzare le opere].

Questo secondo quesito spaventa molti tra i politici e i commentatori dei grandi media perché scopre un nodo irrisolto, mai dibattuto con la dovuta cura sui media: quali sono le modalità di finanziamento del servizio idrico integrato? Possibile che debba essere lasciato totalmente al mercato, e alle tasche dei cittadini? Eppure è così, da quando è stato introdotto il modello del full recovery cost. Ma il modello non funziona: gli ultimi sedici anni hanno palesato una riduzione assoluta degli investimenti sulla rete, e [in termini relativi] il Comitato di vigilanza sulla risorse idriche presso il ministero dell’Ambiente certifica che poco più della metà degli investimenti programmati sono stati effettivamente realizzati. Che fare di fronte a questa situazione? Federutility, l’associazione di categoria delle aziende del settore, chiede finanziamenti pubblici a fondo perduto a favore dei gestori privati del servizio. Il Comitato referendario chiede invece di riflettere seriamente sul modello e sulla composizione della tariffa. E invita, indirettamente, a ridiscutere l’esigenza di una finanza pubblica, ruolo cui istituzioni che pure esistono come la Cassa depositi e prestiti paiono aver abdicato.
Cosa sono, in fondo, 2 miliardi di euro all’anno, cioè gli investimenti necessari secondo i calcoli ufficiali, a fronte di un bilancio dello Stato che sfiora gli 800? Lo Stato dovrebbe garantire a tutti i cittadini depurazione e fognature [oggi tocca solo ai tre quarti degli italiani] o ad esempio i cacciabombardieri F35 [il conto, 18 miliardi di euro, è a carico dei contribuenti]? È una questione di investimenti, e di priorità.
[Luca Martinelli è redattore di Altreconomia e autore di L'acqua è [non] una merce, vero successo editoriale - di cui esce in questi giorni la nuova edizione arricchita e aggiornata - trainato dal movimento per l'acqua, che contiene un articolo di Erri De Luca]

Fonte: Carta.org

Luca Martinelli
16/04/2011
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