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"Servizi" e rifiuti tossici, si riapre il caso

È un'aria strana quella che tira dalle parti di palazzo San Macuto. Via del Seminario, in piena Roma barocca, è sempre stata la sede dei misteri italiani. Qui passò Nilde Iotti, quando presiedeva la commissione sulla P2. Qui si affacciava Carlo Taormina, quando preparava la vergognosa relazione finale sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. E qui la commissione bicamerale sui rifiuti, presieduta da un altro avvocato celebre, Gaetano Pecorella, prepara oggi la fase finale del dossier sulle navi dei veleni.
La testimonianza di Francesco Fonti e la vicenda del cargo Cunski sembrano ormai archiviate, sepolte. Manca una spiegazione decente su questa vicenda, qualcuno che racconti perché per cinque anni si è dato credito alla storia dell'ex collaboratore di giustizia che oggi tutti giudicano inattendibile. O è un folle, oppure le sue parole nascondevano - e nascondono - qualcos'altro.
C'è una pista che preme particolarmente alla commissione. Un filo che riporta al 1995, ai mesi che hanno preceduto la morte del capitano De Grazia, l'ufficiale della marina - medaglia d'oro alla memoria - che stava ricostruendo le rotte della navi a perdere, delle carrette cariche di scorie affondate nel mar Mediterraneo. Indagini che sono morte insieme a lui, che nessun altro uomo della nostra Marina Militare ha avuto il coraggio e la forza di riprendere.
Nei mesi scorsi sono entrati in gioco i servizi di sicurezza, vero enzima dei segreti italiani. Tra le carte della commissione Pecorella c'è un documento che promette rivelazioni scottanti. È datato 11 dicembre 1995, e dimostrerebbe - secondo alcune indiscrezioni - un finanziamento proveniente dal governo Dini ai servizi italiani per la gestione di un traffico di rifiuti nucleari e di armi. Il documento sarebbe ancora secretato, e non ne conosciamo la provenienza, che, in questi casi, non è un fattore secondario. Ma è la data del documento a colpire, a ricollegarsi - in una incredibile coincidenza temporale - con la morte del capitano di corvetta Natale De Grazia.

Nome in codice Pinocchio

È il 13 maggio 1995. Davanti agli uomini della forestale guidati dal colonnello Rino Martini si presenta una fonte confidenziale. Viene ascoltato con il patto di non rivelare la sua identità, utilizzando un articolo del codice di procedura penale specifico, che serve a tutelare i confidenti. Il suo racconto punta il dito su un personaggio chiave del mondo delle scorie pericolose, Orazio Duvia. È un imprenditore di La Spezia, a capo della mega discarica di Pitelli, una vera e propria piattaforma logistica dei rifiuti tossici. Il confidente - che si fa chiamare, con una certa ironia, Pinocchio - spiega quali sono i presunti legami di Duvia con il mondo delle fabbriche di armi e con quel groviglio di poteri che ancora oggi dominano la città di La Spezia. Alla fine della sua lunga deposizione parla di una nave, affondata al largo delle coste ioniche - a capo Spartivento - la Rigel. Un cargo che, secondo "Pinocchio", era pieno di «materiale nucleare (uranio additivato)».
La testimonianza è fondamentale. È la prima volta che nell'inchiesta allora condotta dalle Procure di Reggio Calabria - Francesco Neri - e di Matera - Nicola Maria Pace - appare la pista della nave Rigel. Quel verbale è un vero punto di svolta.

«Affondamenti sospetti»

Il periodo tra il maggio e il dicembre del 1995 è frenetico. Natale De Grazia è la persona del gruppo che si dedica alla ricostruzione delle rotte delle navi a perdere, a partire dalla Rigel. Vengono acquisiti gli atti del processo contro gli armatori e i caricatori della nave, già accusati di truffa all'assicurazione e affondamento doloso dalla Procura di La Spezia. Un processo terminato con una condanna fino al terzo grado per il reato di affondamento doloso, mentre l'ipotesi dell'associazione per delinquere è caduta nel corso del processo.
Rileggere oggi quelle carte conservate negli archivi del Tribunale di La Spezia è però fondamentale per capire il contesto dell'affondamento della nave Rigel, sospettata di aver trasportato uranio additivato. Nell'ordinanza di rinvio a giudizio degli imputati, il giudice istruttore di La Spezia parla non di un singolo affondamento, ma di tante navi affondate in maniera dolosa e sospetta. L'ipotesi era che esistesse «un'associazione criminosa avente lo scopo di commettere più reati di naufragio doloso e truffe aggravate ai danni di varie società di assicurazione». Più naufragi, non solo la Rigel. Ed era questa la pista seguita da Natale De Grazia e la prima, solida conferma giudiziaria dell'esistenza di diverse navi disperse nelle acque del Mediterraneo. Cosa trasportavano? Chi ha organizzato l'affondamento?

Una questione di Stato

I magistrati si rendono subito conto che quell'indagine è esplosiva. Pensare a traffico di rifiuti nucleari, gestiti da gruppi massonici e criminali, per poi essere gettati in mare, faceva tremare i polsi anche ad investigatori testardi come De Grazia. Perché era evidente che un traffico del genere non poteva avvenire senza la copertura di parti importanti dello stato. Pensando, poi, al centro della rete, la città di La Spezia, sede di basi Nato, della Marina Militare, del centro di addestramento dei reparti speciali, di fabbriche di armi, era evidente che far uscire una nave carica di uranio non poteva essere un gioco per semplici truffatori.
E così i magistrati in quei mesi scrissero al Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Lo ricorda Francesco Neri, nella sua testimonianza del 1997 durante l'inchiesta per la morte di Natale De Grazia: «Ricordo che unitamente al collega Pace della Procura circondariale di Matera comunicammo al Capo dello Stato che le indagini potevano coinvolgere la sicurezza nazionale, inoltre poiché fatti di questo tipo potevano essere a conoscenza del Sismi ancor prima dell'ingresso del capitano De Grazia nelle indagini chiesi al direttore del servizio di trasmettermi copia di tutti gli atti che potevano riguardare il traffico clandestino di rifiuti radioattivi con navi». Informative dei servizi poi realmente confluite negli incartamenti dell'inchiesta. Dunque, l'intelligence italiana conosceva sicuramente l'indagine sulle navi.

Un tragico dicembre

Natale De Grazia era sul punto di chiudere le indagini. Aveva già programmato di utilizzare le festività di fine anno per preparare un rapporto finale, con le conclusioni della lunga inchiesta. Il sei dicembre a Reggio Calabria viene sentito - per la seconda volta - il teste "alfa alfa", ovvero Aldo Anghessa. Oscuro trafficante, fortemente sospettato di agire spesso per interessi non chiari o come agente provocatore, due giorni prima del ponte dell'immacolata depone davanti a Natale De Grazia. E introduce un nuovo nome, che sarà fondamentale per l'inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi, Giampiero Sebri. «È disposto a collaborare», spiega Anghessa. Sebri qualche anno più tardi - nel 1997 - deporrà a lungo davanti ai magistrati della Dda di Milano, raccontando di una organizzazione internazionale specializzata nel traffico dei rifiuti nucleari. Indicherà anche Giancarlo Marocchino e l'ufficiale del Sisde presente in Somalia nel marzo del 1994, Luca Rajola Pescarini, come personaggi coinvolti, a suo dire, nel traffico. Per quelle dichiarazioni venne condannato per calunnia, condanna penale poi revocata qualche mese fa dalla Corte di Cassazione.
Quattro giorni dopo l'interrogatorio Natale De Grazia, insieme al maresciallo dei carabinieri Nicolò Moschitta, riceve sei deleghe dal procuratore Neri, per compiere indagini a La Spezia e a Como. Chi doveva incontrare De Grazia non lo sappiamo. Il 12 dicembre parte e a mezzanotte viene stroncato da un arresto cardiaco, in circostanze mai chiarite.

I servizi segreti

Il documento arrivato nei mesi scorsi negli uffici della commissione Pecorella che dimostrerebbe l'erogazione di fondi ai servizi segreti per la gestione dei rifiuti nucleari e di armi ha la data - secondo quanto riportato dal quotidiano Terra - dell'11 dicembre 1995, ovvero il giorno prima del viaggio di De Grazia. Il capitano di corvetta sentiva il pericolo come vicino, vicinissimo. Lo raccontava al cognato, mentre da qualche mese - dopo una perquisizione decisamente anomala a Roma - aveva il timore di entrare in contrasto con pezzi importanti dello stato. Sapeva di essere vicino alla verità, e questo lo preoccupava. Quello che probabilmente non sapeva era che quello stesso stato che gli pagava lo stipendio per bloccare i traffici criminali di rifiuti e di armi, finanziava - segretamente - chi quei traffici li copriva o, addirittura, li organizzava.

Fonte: ilmanifesto.it

07/01/2011
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Articolo tratto dal quotidiano "Terra"

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