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Veronesi: Eutanasia, un atto di giustizia e carità

"L'eutanasia è un atto di carità. Un atto di giustizia. Uno Stato che non accetta l'eutanasia è sostanzialmente uno Stato oppressivo. Perché non accetta un principio fondamentale di libertà: quello dell'autodeterminazione. Cioè che la vita ci appartiene. Come diceva Indro Montanelli, ognuno di noi deve essere libero di scegliere della propria vita e della propria morte". Umberto Veronesi commenta con fermezza ma anche con grande umanità il drammatico video-appello lanciato da Piergiorgio Welby al capo dello Stato. E lo fa da Venezia, nella giornata conclusiva della seconda Conferenza mondiale sul futuro della scienza. Proprio nel giorno in cui i più grandi esperti mondiali di neuroscienze discutono di "emozioni" e "razionalità". Marc Hauser, professore ad Harvard di psicologia e antropologia biologica, ha appena illustrato le ricerche che mostrano come l'uomo abbia una grammatica morale che spesso ostacola le sue scelte razionali. Ha mostrato come l'eutanasia passiva (staccare la spina a un malato terminale) sia meglio accettata di quella attiva (l'iniezione di un farmaco che porti alla morte), anche se il risultato è assolutamente il medesimo.

Professor Veronesi, ha visto le immagini di Piergiorgio Welby?
"Non conosco il caso specifico di Welby. Ma trovo che negare l'eutanasia a un paziente che la chiede, in piena lucidità, sia una vera e propria tortura fatta ai danni di una persona che è incapace di difendersi, proprio perché paralizzata. Il presidente Napolitano non ha poteri in questo campo. Non può certo concedere una forma di grazia. Ma è importante venga affermato il principio dell'autodeterminazione. Il suicidio è un comportamento legalmente accettato. Il tentato suicidio è considerato un fatto personale, privato, che non viene perseguito. Se uno tenta il suicidio potrà essere condannato dalla religione, potrà fare un atto contro Dio, ma legalmente non danneggia nessuno. Danneggia se stesso e basta". L'eutanasia è una forma di suicidio? "Sì. Io penso proprio questo, che l'eutanasia sia una forma di suicidio. Solo che non potendolo fare il paziente, perché incapace, immobilizzato, chiede che qualcuno lo aiuti a farlo".

Ma un paziente potrebbe stare attraversando un periodo di depressione transitoria. Non c'è il rischio di prendere decisioni affrettate?
"La decisione di praticare l'eutanasia deve avvenire, come in Olanda, solo dopo un lungo processo, accurate verifiche psicologiche. Solo dopo aver accertato che il suo desiderio è genuino, ripetuto, costante e lucido, legato alla presenza di una malattia mortale che lo sta spegnendo inesorabilmente. Non si abbrevia una vita con un lungo futuro. Si abbreviano le sofferenze inutili e ingiustificate. Si abbrevia una vita che nella percezione del paziente non è più vivibile".

Si pone l'accento sulla qualità della vita oltre che sulla quantità?
"Esatto. Un principio che ci viene dalla filosofia greca. Seneca diceva che la vita vale se è degna di essere vissuta. Cioè se è una vita piena. Una vita senza qualità non è più vita". La cultura cattolica non accetterà mai questa visione. "Certo, se si afferma il principio della sacralità della vita, che la vita appartiene non a te ma a Dio, allora tutti i termini cambiano. Ma attenzione: nessuno vuole imporre a un religioso di suicidarsi. Chiediamo solo che per un non credente sia possibile farlo. Perché non è giusto imporre un credo a un non credente".

Qualcuno pensa che la battaglia per una legge che regoli il testamento biologico, che lei sta conducendo, possa essere una strategia per arrivare prima o poi, in realtà, alla legalizzazione dell'eutanasia.
"Il testamento biologico è un'altra cosa. E' l'allargamento del consenso informato. C'è una legge italiana che dice che ogni terapia deve essere accettata dal paziente adeguatamente informato. Se però quella terapia la devi eseguire su una persona che ha perso la conoscenza non sai come comportarti. Allora il paziente può anticipare la sua decisione ed esprimere le sue volontà quando è nel pieno delle sue facoltà, nel caso non fosse più in grado di esprimerle durante la malattia. Anche il consenso informato, potrebbe essere vissuto come un passo verso l'eutanasia. Recentemente una donna ha rifiutato di farsi amputare una gamba in cancrena. E poco dopo è morta. E' stata una forma di suicidio. I medici l'avrebbero salvata se avesse accettato l'amputazione. Ma lei ha preferito morire piuttosto che vivere con una gamba sola".

Fonte: Repubblica.it

28/09/2006
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